
Benvenuti all’inferno anche oggi.
Iniziamo con alcuni aggiornamenti rapidi rispetto alle notizie di ieri.
Torniamo molto velocemente sulla notizia del professore napoletano che ha augurato la morte alla figlia della Premier. L’uomo, che ora è stato sospeso dal suo incarico (sospeso, non licenziato), ha tentato il suicidio con pillole e alcol. Molti di sinistra sui social hanno accusato la Premier di aver creato troppa pressione attorno a questa persona. Ora, ora…e sarà l’ultima volta che ci torno. Lungi da me difendere Meloni, ma l'uomo ha fatto tutto da solo. Ha augurato il peggio ad una bambina, ha accusato ChatGPT di scrivere post per lui, e prima di suicidarsi, ha chiamato la Preside per dire che lo stava per fare (ovvero, non lo voleva fare). Ora, è chiaro che l'uomo sia profondamente disturbato. L'unica cosa da fare è stargli vicino, ma incolpare il Governo per l'unica cosa di cui il Governo non ha colpe, non mi pare la strategia vincente (e manco onesta).
Cambiando totalmente argomento, e parlando di cose serie, ieri si è parlato dell’Ucraina e del tavolo di pace a Istanbul con la Russia. Ebbene, alla fine, è stato svelato il memorandum di pace, tra virgoletta pace, che Mosca ha passato a Kiev. Vi enuncio le condizioni russe. Allacciate le cinture.
Tra le richieste principali di Mosca spicca la pretesa che l’Ucraina ritiri completamente le proprie truppe dalle quattro regioni parzialmente occupate e annesse dalla Russia: Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson. A queste si aggiunge la richiesta di riconoscimento internazionale dell’annessione della Crimea e degli altri territori sottratti a Kiev dal 2014 in poi. La Russia insiste anche sulla necessità che durante un’eventuale tregua cessino tutte le forniture di armi occidentali all’Ucraina e la condivisione di informazioni d’intelligence.
Inoltre, Mosca chiede che venga revocata la legge marziale in Ucraina e che si tengano elezioni anticipate prima della firma di qualsiasi accordo di pace. Solo dopo il voto, secondo il piano russo, si potrebbe procedere alla firma di un trattato che imponga la neutralità ucraina, l’abbandono delle aspirazioni NATO, limiti alle dimensioni delle forze armate e il riconoscimento del russo come lingua ufficiale alla pari dell’ucraino. In seguito all’attacco ucraino contro basi aeree russe, Mosca ha aggiunto la richiesta che Kiev abbandoni qualsiasi attività di sabotaggio o azione “sovversiva” contro la Federazione Russa.
Il Cremlino, capendo che queste condizioni sono inaccettabili, ha comunque fatto sapere: "Sarebbe sbagliato aspettarsi soluzioni e progressi immediati. Ma il lavoro va avanti. Siamo in attesa di una reazione al testo del memorandum che abbiamo consegnato". In altre parole, a Mosca si attendono la dichiarazione di resa di Kiev. Ma guardate, ieri quest’ultima ha risposto, con le bombe.
L’Ucraina ha reso noto di aver portato a termine un attacco mirato contro il ponte che unisce la Russia alla Crimea, impiegando esplosivi piazzati sott'acqua per danneggiare le strutture portanti del collegamento. Il Servizio di Sicurezza ucraino (SBU) ha spiegato di aver organizzato l’operazione in diversi mesi e di aver fatto detonare i dispositivi esplosivi alle 4:44 del mattino di martedì, provocando gravi danni ai piloni sottomarini del ponte, usato sia per il traffico stradale che ferroviario.
Secondo quanto dichiarato dall’agenzia, sono stati impiegati circa 1.100 chilogrammi di esplosivo. Si tratta della terza azione diretta contro la stessa infrastruttura da parte ucraina: la prima risale all’ottobre 2022, quando un camion esplose sul ponte provocando un vasto incendio; la seconda, nel luglio 2023, fu effettuata con un drone marino sperimentale. In entrambe le occasioni, Mosca si affrettò a riparare i danni. L’attacco arriva pochi giorni dopo un’altra azione audace dello stesso SBU, che ha preso di mira, con droni, diverse basi aeree russe situate a migliaia di chilometri dall’Ucraina. Ne abbiamo parlato ieri. Lo ripeto: questi ucraini hanno studiato il copione di Mission Impossible.
E proprio per non essere da meno, ieri la NATO ha reso nota una richiesta ai paesi membri - che definirei - storica. L’alleanza sta spingendo affinché gli Stati europei membri rafforzino in modo significativo le proprie capacità di difesa aerea terrestre, proponendo un aumento pari a cinque volte rispetto all’attuale livello. La proposta, avanzata alla vigilia dell’incontro dei ministri della difesa dell’Alleanza a Bruxelles, rappresenta una risposta concreta alle vulnerabilità emerse con il conflitto russo-ucraino.
Già nel corso di questa settimana, i ministri della NATO dovrebbero approvare una delle decisioni più rilevanti in termini di aumento delle scorte militari dai tempi della Guerra Fredda. Ciò fa parte di una strategia più ampia mirata a dotare l’Europa e il Canada di maggiore autonomia militare, riducendo il tradizionale affidamento sui sistemi difensivi statunitensi. L'incontro di Bruxelles servirà da trampolino di lancio per il vertice dei leader NATO previsto a L'Aia il 24 e 25 giugno.
Sul piano finanziario, la spinta alla riqualificazione delle difese si inserisce in un quadro che vede i membri dell'Alleanza convergere su un nuovo obiettivo di spesa: il 5% del prodotto interno lordo, di cui il 3,5% destinato alle forze armate in senso stretto, e l’1,5% ad ambiti correlati, come infrastrutture critiche, cybersicurezza e preparazione civile. Un cambio di paradigma dettato anche dall’insistenza dell’amministrazione Trump, che ha più volte sollecitato l’Europa a fare la propria parte.
Fonti interne alla NATO hanno ribadito che la difesa aerea e missilistica resta tra le priorità più urgenti, insieme a logistica, artiglieria a lungo raggio e riorganizzazione delle forze terrestri. Il piano include anche la modernizzazione della catena di comando e una revisione generale dell’assetto strategico dell’Alleanza.
Insomma, l’Europa si prepara a un salto di qualità nella propria capacità di autodifesa, non più rimandabile. L’era della sicurezza “delegata” sembra avviarsi alla conclusione.
Nell’ultimo episodio abbiamo parlato di un sovranista appena eletto alla Presidenza della Polonia…ma per un sovranista che viene, uno se ne va. Almeno per ora.
Ieri, il governo olandese si è ufficialmente dissolto a seguito dell’uscita dalla coalizione del Partito della Libertà (PVV), guidato dall’estremista di destra, Geert Wilders. Il motivo principale della crisi risiede nel naufragio delle trattative interne alla maggioranza sul tema dell’immigrazione. Wilders aveva presentato un piano in dieci punti che includeva misure molto aggressive per ridurre il numero di stranieri nel paese. La proposta ha trovato l’opposizione netta degli altri partiti della coalizione, che hanno rifiutato di appoggiarla.